lunedì 20 febbraio 2017

La storia degli ultimi sette ibis eremiti di Palmira

nel libro del biologo Gianluca Serra "Salam è tornata" 


Non è stata la guerra in Siria, né la distruzione di Palmira da parte dell’Isis a far estinguere l’ultima colonia di ibis eremiti in Medio Oriente come aveva titolato più di un anno fa il sito della BBC scatenando l’ira del biologo conservatorista italiano Gianluca Serra che ha vissuto a Palmira dieci anni per salvare la specie. Oggi la sua ostinata avventura naturalistica cominciata nel 2002 con la clamorosa scoperta scientifica degli ultimi sette discendenti della colonia siriana dell’ibis eremita selvatico e migratore, è raccontata nel libro “Salam è tornata” (Èxòrma) in cui l’autore svela gli errori che hanno contribuito nel 2015 all’estinzione definitiva di questo uccello sacro e leggendario che si credeva estinto in Siria già dagli anni '30 e dal 1989 in tutto il Medio Oriente.
“Sono sempre l’aggressività e l’invadenza dell’uomo a provocare le estinzioni delle specie, ma quella dell’ibis eremita orientale si poteva evitare, nonostante le cattive condizioni dell’ecosistema della steppa siriana. Purtroppo le mie grida d’allarme sono cadute nel vuoto” mi spiega Gianluca Serra, ancora scosso dal susseguirsi degli eventi da cui è stato protagonista fino a febbraio 2015 quando Salam (in arabo “pace”), l’ultimo ibis migrato in Etiopia, una femmina, non è più tornata all’oasi di Palmira che poco dopo sarebbe stata conquistata dall’Isis.


Oggi Serra vive in Polinesia, dove lavora per salvare un altro uccello sull’orlo dell’estinzione, la manumea, ma pensa ancora spesso ai sette ibis siriani che ha scoperto e seguito per anni, prima per le Nazioni Unite, poi per Commissione Europea e per varie ong e infine da volontario. Durante i lunghi anni trascorsi nel deserto palmierense a osservare i comportamenti di questi uccelli che troviamo stilizzati nei geroglifici delle antiche dinastie egizie e raffigurati nel tempio di Horus a Edfu, nella valle del Nilo, perché simbolo del Thoth, Dio della saggezza e della scrittura, inventore del linguaggio parlato e scritto, Serra si è sentito “un povero idealista ingenuo”.
Per il suo approccio passionale, il biologo italiano veniva considerato dai colleghi un naturalista d’altri tempi, da alcuni scambiato addirittura per un attivista, “come se l’etichetta di attivista fosse una nota di demerito e di scarsa professionalità”.
“L’intervento delle ong di conservazione per salvare l’ibis eremita in Medio Oriente, seguito al mio disperato appello fatto nel 2003 – spiega Serra –, è stato largamente inefficiente e inadeguato. La questione è stata trattata politicamente, invece che tecnicamente e soprattutto urgentemente: territorialismi, personalismi e mancanza di strategia hanno minato gli sforzi già in atto sul campo dal 2002 determinando due evitabilissimi e disastrosi fallimenti riproduttivi della colonia, nel 2005 e nel 2008, oltre che ritardi fatali nella corsa a scoprire la rotta migratoria e a supplementare la colonia selvatica con individui nati in cattività e appartenenti alla stessa popolazione”.
Oltre l’aspetto polemico nei confronti del sistema della Cooperazione internazionale, dei fondi limitati, “gli intrighi e le miserie umane” incontrate sul campo, il libro è l’affascinante e unica cronaca di una missione naturalistica vissuta fino in fondo e permette di conoscere la vita di questo volatile, tra i più rari al mondo.
Gli ibis eremiti orientali (geronticus eremita) vivevano in nidi costruiti sulle pareti rocciose del deserto di Palmira, nella zona di al-Talila, e sorvolavano ogni giorno le dune abitate dalle tribù beduine. La metodologia usata da Serra per studiare gli ibis, infatti, si è basata anche sulla decodificazione della conoscenza ecologica degli storici abitanti del deserto.
A differenza delle centinaia di coppie di ibis selvatici sopravvissute sulle scogliere marocchine, considerate “residenti", gli ibis orientali sono migratori e, come tutti gli uccelli di questa categoria, incarnano il sogno dell’uomo di oltrepassare confini e frontiere volando. Una delle parti più entusiasmanti del racconto del biologo è proprio quella dedicata al lavoro svolto per seguire la rotta migratoria nei cieli mediorientali d’Arabia grazie a micro-trasmittenti posizionate sui corpi dei volatili sopravvissuti spesso vittima di bracconaggio o folgorazione su cavi elettrici sospesi.
I sette ibis seguiti da Serra trascorrevano a Palmira solo il periodo riproduttivo. Nei mesi estivi, con un volo spettacolare, partivano tutti insieme verso l’altopiano etiope, mentre al ritorno, nella seconda metà di febbraio, arrivavano sulla falesia di al-Talila alla spicciolata e pian piano si preparavano ai rituali di corteggiamento, accoppiamento, costruzione del nido e accudimento delle uova.
Nulla a che vedere con gli ibis spesso avvistati nel nostro paese, nati in cattività grazie a progetti UE, dunque “domestici”. “Se leggete notizie di ibis che sorvolando l’Italia e vengono impallinati da bracconieri - avvisa Serra – sappiate non sono animali selvatici capaci di sopravvivere in natura autonomamente e contribuire all’ecosistema come gli ibis eremiti orientali di Palmira”.
“Molto probabilmente l’ibis, insieme agli ungulati domestici e selvatici, costituiva la chiave di volta dell’ecosistema della steppa siriana” sottolinea il biologo che descrive l’area di al-Talila come “uno scrigno di biodiversità rappresentativa della steppa siriana, l’ultimo rifugio non solo per i beduini cammellieri ma anche per il gatto delle sabbie, per il varano grigio, per l’houbara e per varie altre specie di animali e piante, ormai scomparse dal resto della steppa. Un tesoro da gestire e conservare a beneficio delle generazioni presenti e future”.
Il biologo fa notare al lettore che in ogni angolo del pianeta scompaiono, anno dopo anno, specie e popolazioni animali e spiega che ci troviamo di fronte a quella che ecologi e zoologi chiamano la “sesta estinzione di massa”.
“La quinta estinzione di massa – chiarisce - è stata quella che ha avuto come protagonisti, o vittime, i dinosauri, circa settantacinque milioni di anni fa, probabilmente causata dall’impatto di un asteroide sulla superficie del pianeta, caduto dalle parti dello Yucatan in Messico. Sappiamo che per risollevarsi dalle prime cinque estinzioni di massa la vita sulla terra ha impiegato circa dieci milioni di anni. In questo consiste la resilienza della vita e della natura. Nella capacità cioè di incassare i colpi, di andare kaput per poi ricominciare da zero”.

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