giovedì 2 febbraio 2017

Le storie dei popoli che soffrono si alleggeriscono solo quando vengono raccontate con poesia e musica

"Guardando dietro la montagna" della poetessa curda Bejan Matur

Intervista di Francesca Bellino

“Le storie dei popoli che soffrono si alleggeriscono solo quando vengono raccontate con poesia e musica”. E’ quello che prova a fare la poetessa curda Bejan Matur della quale Poiesis ha pubblicato in Italia il celebre reportage del 2010 “Guardando dietro la montagna” (traduzione dal turco di Giulia Ansaldo), in Turchia un caso editoriale da oltre 50 mila copie vendute.
Bejan, nata nel 1968 a Maraș nel Kurdistan turco in una famiglia di cultura e religione Alevi (confraternita dell’Islam presente in Turchia), non ha simpatie per il Pkk ma ha raccolto le storie, le ragioni e il “mondo interiore” di uomini e donne che hanno deciso di “salire la montagna” e arruolarsi nell’organizzazione considerata “terroristica” da Turchia, Usa ed Europa, che abbiamo visto in prima linea contro l’Isis.


Bejan Matur, qual è stato il punto di partenza del libro?
Io stessa ho origine dal mondo che racconto. Sin dalla mia infanzia sono cresciuta in mezzo a queste storie. Da bambina sono stata testimone del massacro di Maraş, rivolto contro gli Alevi nel 1978. A 19 anni mentre studiavo diritto all’Università di Ankara sono stata arrestata e imprigionata per un anno, ho subito torture, per il solo fatto di essere curda. Negli anni 90 ho perso due cugini e un caro amico d’infanzia che avevano imbracciato la strada della montagna. Ho, dunque, sentito la responsabilità di raccontare e far conoscere agli altri i dolori della società dalla quale provengo.

Chi sono, dunque, i combattenti del Pkk?
Li definirei membri di un’organizzazione ideologica post moderna che, come una “religione”, vuole proporre un nuovo modello sociale per il Medio Oriente.

Che idea ha delle combattenti anti-Isis?
La società curda è una società tradizionalmente conservatrice in cui generalmente le donne vivono sotto oppressione, ma allo stesso il tempo è una società con una forte vena matriarcale. Questo è evidente soprattutto all’interno della società Alevi e tra gli esempi di politica attiva condotta dalle donne negli ultimi tempi o ancora tra le donne che scelgono di partire in montagna.  La società curda è Mesopotamica e le donne curde sono eredi della dea babilonese Ishtar (Inanna per i sumeri). Ogni volta che ne trovano l’occasione, non esitano a dimostrare la loro forza, come è stato a Kobane.

È riuscita a salvaguardare la lingua curda nella sua vita?
In Turchia non ho avuto la possibilità di ricevere un’educazione in curdo, perché era una lingua proibita e tutt’oggi, per quanto l’uso non sia più vietato, il curdo non è una lingua ufficialmente impiegata o insegnata nell’educazione pubblica. Ho sempre portato dentro di me il dolore di non poter scrivere in curdo. Per poter coltivare la mia lingua ho sempre parlato in curdo con mia madre e gli anziani della mia regione. Da circa due anni ho cominciato a scrivere piccole poesie nel dialetto curdo di Maraş, la lingua di mia madre, della mia infanzia. E questa esperienza in parte ripara e guarisce la mancanza che ho sempre provato, in quanto poetessa, di non poter scrivere in curdo.

Le sue poesie sono tradotte in numerose lingue, dall’inglese al persiano. Viaggia e parla ai giovani. Che donna si definisce?
Sono qualcuno che conosce le difficoltà di essere una donna libera in una società tradizionale e di combattere la tradizione. E ne ho pagato il prezzo. Rifiutando la comodità offerta dai codici tradizionali della società, non mi sono consegnata all’autorità e all’istituzione del matrimonio scegliendo di restare libera; non è stato facile. Ma amo le difficoltà. L’essere poeta mi ha aiutato a conquistare la mia libertà; sono riuscita a ottenerla seguendo le tracce della poesia.

Cosa immagina per il futuro del popolo curdo?
Sogno una società in cui l’orgoglio dei curdi non venga calpestato. Che i curdi vengano considerati cittadini eguali e rispettati nei paesi in cui vivono e nelle terre che abitano. Sogno per i curdi una società democratica nella quale smettano di essere considerati cittadini di seconda categoria, in cui raggiungano uno status e un trattamento ugualitario.

E' vero che “ogni curdo è un poeta” come diceva lo scrittore armeno Hovhannès Toumanian?
C’è un proverbio da noi che dice “se bussi a quattro porte, aprono cinque poeti.” La tradizione orale del popolo curdo è ricca con radici lontane ed è viva ancora oggi; nei Dengbej ad esempio (letteralmente “dicitori di suono”; cantori tradizionali che narrano epopee e storie tradizionali in forma di canto e lamento). Lo strumento più efficace per dire le proprie sofferenze e sentire la propria umanità è sempre stata la narrazione poetica. Le nostre madri, le nostre donne, quando parlano, parlano poeticamente.

Nessun commento:

Posta un commento