sabato 4 marzo 2017

Palmira, costruita per unire e distrutta per dividere

L’esercito siriano riconquista l’antica città di Zenobia
  
Palmira è uno dei luoghi più belli che mi è capitato di visitare nei miei viaggi perché non te l'aspetti. Ti appare davanti agli occhi all’improvviso dopo chilometri di deserto. Come un miraggio. Come un luogo incantato che sembra disegnato apposta per stupire. E di fatti è un miraggio che nasce dal passato e porta con se anche il fascino del mondo dell’antichità greco-romana e il suo ruolo di ponte tra il Mediterraneo e l’Oriente. Contiene le tracce della storia pre-islamica della Siria, quindi parte dell’identità del paese. 
Seguo sempre emotivamente le sue sorti e ora che l’esercito siriano l’ha riconquistata scacciando le truppe dell’Isis con l'appoggio dell'aviazione russa, provo a fare una ricostruzione della sua recente storia con nelle orecchie le parole del poeta 'surrealista' romeno Gellu Naum che nel romanzo Zenobia scrive: "...perché ci sono cose di cui si deve tacere, [...], gli altri capiscono per quanto possono capire; ognuno dice meno di quanto capisce e capisce più di quanto gli si dice, ma ciò che capisce non glielo si dice perché non capisce ciò che gli si dice...".


Palmira dall’alto è un pugno allo stomaco. L’abbiamo vista qualche settimana fa nelle immagini girate da un drone dell’esercito russo e diffuse dal Ministero della Difesa di Mosca sempre più distrutta, oltraggiata, sfigurata dalle azioni dei jihadisti dell’Isis che avevano riconquistato l’antica città della regina Zenobia lo scorso 11 dicembre, nove mesi dopo la ripresa del controllo da parte delle truppe governative siriane con il sostegno dei jet russi, seguita dalla riconquista del 3 marzo scorso.
Il video, che risale al 5 febbraio, ci mostra quanto già annunciato a gennaio da Maamun Abdulkarim, direttore del Dipartimento per le antichità archeologiche della Siria, ossia la distruzione del Tetrapilo a sedici colonne risalente al terzo secolo dopo Cristo e del proscenio del Teatro romano per mezzo di cariche esplosive.
Questo nuovo scempio dei jihadisti appare chiaro. Le esplosioni hanno lasciato buchi evidenti e ammassi di macerie. Un ulteriore sfregio alla storia e alla bellezza dell’antica città siriana dichiarata patrimonio dell’umanità dall’Unesco, ormai quasi disabitata, che l’Isis ha tenuto in ostaggio per la sua posizione strategica e per poterla saccheggiare.

Contrabbando di opere d’arte
Le architetture palmirene sono state per l’Isis un business. Rimanere a Palmira ha permesso ai jihadisti di trafficare sul mercato dei beni archeologici ciò che resta dalla distruzione dei monumenti riuscendo a ottenere entrate inferiori solo al traffico di petrolio e contribuire al finanziamento della loro “guerra santa”. E’ già successo con oggetti trafugati dalle necropoli. Busti, capitelli e vasi romani provenienti da Palmira dal valore di miliardi di euro, tra cui la statua del “Giovane patrizio” ritrovata in Italia, sono comparsi sul mercato nero. I maggiori clienti dell’Isis sarebbero case d’asta e musei tedeschi, inglesi, svizzeri, americani e di Hong Kong.

Monumenti saltati in aria
Il Tetrapilo e il proscenio del Teatro romano devastati si uniscono all’elenco delle preziose rovine già saltate in aria durante la prima occupazione dell’area: l’Arco trionfale, la statua del Leone di Al-Lat, il tempio di Baal, costruito nel 32 d.C., e quello Baalshamin, risalente a un secolo più tardi. L'Unesco ha più volte dichiarato che la distruzione del sito siriano è “una perdita enorme per l’umanità”. Ogni monumento distrutto è, infatti, una scomparsa irreversibile e globale e rende vano il grande lavoro, ancora non portato a termine, fatto negli anni dagli archeologi per riportare alla luce dagli scavi pezzi del passato glorioso del sito del deserto siriano.

Conquistata dall’Isis nel 2015
Palmira, situata a 240 km a nord-est di Damasco e nota nel mondo arabo come la “perla del deserto”, si trova nella provincia di Homs, nella Siria centrale, ed era stata conquista dall’Isis nel maggio 2015, a quattro anni dall’inizio della crisi siriana in cui sono morte oltre 400mila persone, secondo i più recenti dati comunicati dall’inviato Onu delle Nazioni Unite Staffan de Mistura, e in cui sono state commesse violazioni di diritti di ogni genere. Durante i dieci mesi di occupazione, fino a marzo 2016, il sito che in passato è sempre apparso ai viaggiatori come un miraggio per la sua magnificenza, è stato scenario di brutture di ogni tipo. Gli abitanti della città moderna, circa 70mila persone, sono stati costretti a fuggire per il rischio di essere uccisi o decapitati in atroci esecuzioni pubbliche.

L’esecuzione di Khaled Asaad
La morte che più ha scosso anche l’Occidente è stata quella del “custode della città”, l’archeologo 82enne Khaled Asaad, ex capo della direzione generale delle antichità e dei musei di Palmira, lasciato appeso a un’antica colonna nella piazza principale il 18 agosto 2015 “perché promuoveva l’adorazione alle statue”, offendendo Allah, l’unico Dio, e dunque era un “infedele”.
Khaled Asaad è stato nominato direttore del sito archeologico e del museo di Palmira nel 1963, è rimasto in carica fino al 2001 e ha continuato a lavorare anche durante il pensionamento come esperto nel Dipartimento dei musei e delle antichità, oltre che nelle collaborazioni con studiosi stranieri. Prima che i terroristi dell’Isis si impadronissero di Palmira, Khaled Asaad aveva collaborato per evacuare numerosi reperti custoditi nel Museo locale senza pensare mai di lasciare la città.
Palmira, il cui nome in arabo è Tadmur, che deriva da quello aramaico Tadmor che significava “palma”, oggi una città fantasma, continua a essere una mira dell’Isis non solo per la sua posizione strategica, ma anche per il valore simbolico e l’effetto choc che acquistano le distruzioni dei monumenti sui mass media.

Costruita per unire e distrutta per dividere
“Palmira è stata città costruita per unire e ora viene distrutta per dividere” ha ben sintetizzato il destino della città, Manar Hammad, archeologo, semiologo e architetto libanese, proveniente da una famiglia originaria di Aleppo, considerato tra i massimi esperti del sito siriano.
“Palmira – ha aggiunto lo studioso, autore del libro Bel/Palymra Hommage, in Italia edito da Guaraldi - era stata creata come collegamento fra il Mediterraneo e il Golfo Arabico. La sua ricchezza erano gli scambi, il mescolarsi delle culture, come testimoniato dai suoi resti”.
Sin dall’antichità, l’antica città, infatti, ha avuto un ruolo cruciale economico e sociale nell’area per la collocazione geografica. E’ stata uno dei più importanti centri culturali del mondo antico. È molto conosciuta, soprattutto tra gli studiosi di storia antica, per essere stata la capitale del Regno di Palmira sotto il governo della regina Zenobia, donna bella, spregiudicata, coraggiosa e colta che conquistò l'Egitto e osò sfidare Roma, un vero simbolo della città.
Sotto il suo regno, cominciato nel 267, Palmira divenne un luogo di tolleranza, di cultura e di fiorenti commerci. Sorgeva su un’oasi che per un lungo periodo fu punto d'incontro di viaggiatori d'Oriente e d'Occidente, ma fu soprattutto un importante centro carovaniero e uno snodo commerciale. Dopo la conquista araba, avvenuta nel 634, però, Palmira perse il suo splendore e andò pian piano in rovina. Lo studio scientifico dei suoi resti e gli scavi archeologici cominciarono solo alla fine del XIX secolo.

Busti funerari restaurati in Italia e rispediti a Damasco 
Nell’attuale clima di terrore e distruzione in Siria e di “lutto culturale” a Palmira, si regista però una buona notizia in tema di arte ferita che arriva proprio dall’Italia: il restauro di due busti funerari in calcare alabastrino del II e III secolo d.C. originari della Valle delle Tombe alle porte della città antica che erano custoditi nel Museo locale e sono stati fratturati a colpi di piccone dagli uomini dell’Isis. Le due sculture raffiguranti un uomo e una donna sono state salvate dai funzionari del Museo archeologico che, nella primavera del 2016, sono riusciti a trasferire molti reperti da Palmira nei caveaux della Banca centrale siriana di Damasco insieme ad altri reperti che nel 2015 non avevano potuto salvare, tra cui grandi statue e sarcofagi, perché incastonati nelle pareti.
I due busti sono arrivati in Italia lo scorso 7 febbraio grazie all'accordo tra l'Associazione Incontro di Civiltà e la Direzione delle antichità di Damasco per essere prima esposti al Colosseo a Roma nella mostra “Rinascere dalle distruzioni, Ebla, Nimrub, Palmira” e poi per essere curati nei laboratori dell’Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro del Ministero dei Beni Culturali. Il lavoro, guidato da Gisella Capponi, si è svolto anche con l’uso di tecnologie all'avanguardia e porta con se il valore simbolico della ricostruzione e della rivalsa sul male.
La parti mancanti del volto maschile, che era stato colpito a martellate, sono state ricostruite grazie a una sofisticata stampa in 3D con sinterizzazione di polveri di nylon: sorta di protesi usata per ricomporre i lineamenti, rimanendo però rimovibile.

La notizia di questo glorioso restauro e del ritorno delle sculture a Damasco lo scorso 27 febbraio ha fatto il giro del mondo restituendo un pizzico di speranza di assistere alla fine della crisi siriana e di vedere rinascere presto il Paese dalle sue ceneri.

2 commenti:

  1. Grazie al mio lavoro negli ultimi 12 anni ho visitato parecchi paesi arabi e ho visto città come Jedda, Damasco, Cairo, Abu Dhabi, Dubai e altre ancora. Durante un viaggio in Libia ho avuto la fortuna di visitare Sabratha una vecchia città che i romani usavano come base per produrre avena) e che è posizionata a un 80 km circa da Tripoli. Al tempo (2007) quindi prima della primavera araba mi sono ritrovata davanti una Pompei al mare spettacolare e in ottime condizioni. Ero praticamente l'unico turista/visitatore. Un emozione unica, grandissima. Scopri che il teatro romano (con interessantissime influenze greche ed egiziane) su 3 piani ancora intatto era utilizzato tutt'ora per concerti. Persino Adriano Celentano ci fece un concerto nel 2000. Proprio poco tempo fa credo circa 6 o 8 mesi fa, Sabratha fu occupata da Isis a causa dei pozzi petroliferi lì vicino. Non so più qual'è l'attuale condizione della città.
    Il nostro passato è pieno di incredibili opere costruite in supporto all'umanità e alla cultura. Oggi entrambe vengono manipolizzati dai mass media. Il terrore è ciò che ci propongono. Non cultura, non civiltà. L'incivile ci attrae più della storia e delle fondamenta del passato. Al posto di imparare dagli avi, cancelliamo le loro tracce. Senza cultura c'è il caos. Così saremo sempre più nelle mani di banche e finanzieri di guerra e di potete.
    Tanti saluti
    Igor

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    1. Igor, grazie della tua testimonianza. Anche questa è una traccia per lottare contro la cancellazione del nostro passato e di quello che ci ha emozionato

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