mercoledì 16 agosto 2017

Storico voto in Tunisia per fermare la violenza sulle donne

Non sarà di certo una legge a fermare la violenza sulle donne in Tunisia, ma la riforma di legge approvata lo scorso 26 luglio è un ennesimo importante passo in avanti nella modernizzazione della società tunisina. Nonostante la grave crisi economica, la lotta alla corruzione, la disoccupazione e il rischio radicalizzazione dei giovani, i tunisini non hanno mai abbassato la guardia sulle battaglie civili in atto, tra cui la tutela dei diritti delle donne. Com’è avvenuto nel 1956 quando il leader Habib Burghiba, capo del governo all’indomani dell’indipendenza e primo presidente del paese in carica fino al 1987, aveva fortemente voluto un Codice di Statuto Personale che favorisse le donne fin troppo all’avanguardia per il tessuto sociale dell’epoca, anche oggi la riforma della legge contro la violenza sulle donne appare fin troppo avanzata per una società ancora schiava in parte della tradizione e del maschilismo. Ma è proprio qui il punto: la nuova legge arriva per educare, per dare la visione di un’altra realtà possibile, per innescare un meccanismo di evoluzione. 
Com’è già successo il 13 agosto 1956 quando i tunisini hanno dovuto dimostrare di essere all’altezza dei diritti loro concessi ancora unici in tutto il mondo arabo-musulmano, tra cui l’abolizione della poligamia e la possibilità di chiedere il divorzio civile da ambedue le parti, così oggi si ritrovano tra le mani uno strumento di tutela per le donne che anticipa la pratica sociale, ma che senza dubbio ha il potere di ridurre le discriminazioni. Rappresenta, infatti, un significativo avanzamento nel percorso tanto ambito dalle tunisine più moderniste: giungere alla parità di genere stabilita dall’art. 46 della Costituzione del 2014.
Un punto centrale della trasformazione che la riforma mette in atto è il passaggio della violenza da questione privata a questione di Stato. La nuova legge, infatti, passa nelle mani dello Stato, in quanto Garante Supremo dei cittadini, anche tutte le denunce fatte e poi ritirate da donne spaventate o minacciate, oltre ad aumentare le pene per gli stupratori. Di particolare rilevanza sono le modifiche sull’art. 227 bis del codice penale, l’“articolo della vergogna” che permetteva al violentatore di sfuggire alla pena e ottenere il “perdono” dalla vittima, sposandola. Questo oggi non sarà più possibile. Con il nuovo emendamento, inoltre, viene spostata l’età del consenso da 13 a 16 anni, dunque viene considerato “stupro” qualsiasi rapporto sessuale tra un adulto e una minore di 16 anni. La pena prevista per chi ha rapporti con minori, anche se consenzienti, è di 6 anni di carcere e la condanna si raddoppia se il responsabile fa parte dell’entourage familiare. Lo stupro incestuoso è punito con l’ergastolo.



Il nuovo testo introduce, inoltre, la violenza morale, in particolare in ambito coniugale, ampliando il concetto di coppia che se finora consisteva solo in “due persone sposate”, oggi comprende anche ex marito, fidanzato ed ex fidanzato. E’ stata prevista, invece, una multa da 500 a mille dinari per chi si rende colpevole di molestie nei confronti di donne per strada o in spazi pubblici.
Ogni provvedimento proposto e votato è nato dalla sollecitazione della società civile che, insieme alle libertà, in seguito alla cacciata di Ben Ali nel 2011 e all’avviamento della transizione democratica, ha visto crescere anche la violenza a danno delle donne. In base a uno studio del CREDIF, 78,1% delle donne in Tunisia ha subito violenza psicologica in uno spazio pubblico, il 41,2% è stata vittima di violenza fisica e il 75,4% di violenza sessuale. 
Resta un tabù nella riforma, la parità nell’asse ereditario. La donna eredita ancora la metà dell’uomo destando preoccupazioni in molte attiviste per i diritti umani che si tengono vigili e chiedono un cambiamento di mentalità. Ma per la festa delle donne in Tunisia, il prossimo 13 agosto, le tunisine hanno comunque ottimi motivi per festeggiare.

Left - 5/08/2017

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