sabato 18 novembre 2017

ciao Luis Bacalov

Per ricordare l’immensa personalità di Luis Bacalov, la sua sensibilità e il suo essere libero, altruista e colto non posso fare a meno di ricordare quando a inizio 2009 gli chiesi di leggere la bozza un mio libro e di scriverne una prefazione perché ero convinta che da argentino curioso e ironico nato in una famiglia ebraica si sarebbe sentito a casa tra quelle pagine che in cui avevo mescolato diverse suggestioni, dalla Kabala al tango, dai labirinti all’aleph borghesiano, dall’undicesimo comandamento alla crisi economica, fino al terrorismo.
Lui lesse la bozza e in breve tempo scrisse la prefazione. Ovviamente io ne fui felicissima, ma solo ora, all’indomani della sua scomparsa, apprezzo ancora più la generosità di quel gesto. Non gli avevo chiesto una cosa facile: avevo sollecitato un musicista e compositore a cimentarsi nella scrittura, per giunta non nella sua lingua madre. E ora, rileggendo quelle righe preziose, mi accorgo di quanto la musica gli appartenesse in toto, anche nell’avvicinarsi a un testo scritto - in questo caso di un reportage narrativo -, tanto da trovarci dentro un Rondò
Riporto qui l’incipit della sua prefazione e di seguito un’intervista frutto di una chiacchierata svoltasi a casa sua a Roma nell’estate del 2016:

“Pensavo, leggendo le prime pagine de Il Prefisso di Dio, di trovarmi tra le mani un racconto sugli ebrei di un quartiere di Buenos Aires senza nome chiamato el Once, uno dei tanti paradossi della città dove sono nato.
Certo la parte dedicata al variegato e multiforme mondo ebraico porteño del barrio Once è oggetto di molte pagine agili e seducenti, ma continuando a leggere ci si trova davanti a un labirinto storico-socio-politico-letterario-artistico-filosofico-e ancora altro che mi fa pensare alla forma musicale chiamata Rondò (A-B-A-C-A-D-A etc) cara alla prima Scuola di Vienna e alle sue propaggini posteriori, dove A si occupa di ebrei e B-C-D-etc di altro e altri.
Che si ritorni ad A raccontando el Once è necessario e inevitabile, data l’importanza nella storia del quartiere della presenza ebraica. Direi di più: senza ebrei non c’è el Once a partire dal grande flusso migratorio cominciato a metà del secolo XIX, diventato fortissimo e inarrestabile dal 1880 in poi. Ma siccome el Once fa parte di un mondo molto più esteso, Il Prefisso di Dio finisce per raccontarci, oltre a una città, anche una nazione, con la sua ascesa e il suo declino, con le sue catastrofi e le sue recenti riaccese speranze”....
Luis Bacalov




- Una delle svolte cruciali della vita di Luis Bacalov avviene d’estate. E’ il 1959 e il giovane pianista e compositore nato nel 1933 a Buenos Aires, arrivato in Europa già da qualche anno, accetta l’invito di un cantante venezuelano di lasciare Parigi, dove vivevano entrambi, e di fare un tour estivo in Italia.
Luis Bacalov accetta di buon grado perché ha bisogno di lavorare per pagarsi gli studi e perché ha già una famiglia che l’ha seguito in Francia, moglie e due figli, senza sapere che quel viaggio avrebbe messo le basi per la sua futura fortunata vita in Italia, dove vive da 57 anni e dove ha ottenuto innumerevoli riconoscimenti tra cui il Premio Oscar per la colonna sonora de Il Postino di Micheal Radford, ultima interpretazione di Massimo Troisi morto 12 ore dopo l’ultimo ciack.

Maestro Bacalov, cosa è successo esattamente nell’estate nel 1959?
Alla fine dei concerti che tenemmo a Roma, a Capri e a Rimini, un violinista che avevo conosciuto durante una delle serate e con il quale ero diventato amico, il giorno prima di ripartire per Parigi mi disse che c’era un cantante che stava cercando un pianista e che lui aveva pensato a me. Dato che io avevo già il biglietto del treno per rientrare a casa con la mia famiglia, all’inizio non valutai la proposta. Ma lui insistette. Ricordo perfettamente le sue parole: “Che hai da fare questo pomeriggio? Che ti costa incontrarlo? Nella vita non si sa mai…”
Incontrò dunque il cantante?
Sì, e mi resi subito conto che cantava un repertorio molto diverso da quello che facevo io. Io all’epoca suonavo musica brasiliana e cubana che a Buenos Aires chiamiamo “tropicale”. Ma riuscii comunque ad accompagnate il cantante che mi chiese anche di “trasportare”, ossia passare a una tonalità più alta o più bassa rispetto a quella dello spartito. Ero fresco di studi, andò bene. “Giovanotto, il posto è suo” disse subito dopo. Il cantante era Claudio Villa.
E lei cosa fece?
Rimasi spiazzato. Stavo per dirgli che ero lì solo per conoscerlo, ma in realtà dovevo tornare a Parigi. Ma quando il suo manager mi spiegò l’incarico e mi disse che il cachet era di 30 mila lire al giorno, ossia in una settimana avrei avuto quello che a Parigi guadagnavo in un mese, presi un taxi, che prima non avevo mai preso per risparmiare, e corsi da mia moglie. Anche lei fu entusiasta, così siamo rimasti a Roma. E’ stata senza dubbio l’estate più importante della mia vita.
E qual è stata l’estate più divertente?
Un viaggio in barca con amici da Barcellona a Ibiza. La Spagna è sempre stata una meta piacevole per me. Quando i miei sei figli erano piccoli avevo comprato una casa a Calpe per trascorrervi l’estate insieme con l’obiettivo di fargli imparare lo spagnolo con naturalezza. Dopo un po’ di anni poi quella casa l’ho venduta.
Ha mai trascorso una vacanza sulle isole dove è stato girato Il postino?
Non è mai capitato. Solo una volta sono passato in barca per Procida, facendo un giro nel golfo napoletano, tra Ischia e Capri, e l’anno corso sono stato invitato per un evento a Salina, ma sono rimasto poche ore. Chi scrive le colonne sonore non va mai neanche sui set. Si comincia a lavorare quando la lavorazione del film è già a un primo montaggio. Con delle eccezioni. Quando ho collaborato con Federico Fellini per La città delle donne ricordo che spesso mi chiedeva di fargli sentire delle musiche al pianoforte già durante le riprese.



Cosa rappresenta per lei l’estate oggi?
Oggi corrisponde soprattutto al lavoro, a parte qualche giorno di fresco o di mare con la famiglia. Dal riconoscimento ottenuto alla Notte degli Oscar per le musiche de Il postino nella mia vita c’è stata un’accelerazione di richieste di lavoro. Non solo nel mondo degli arrangiamenti e nelle colonne sonore, che erano le mie principali occupazioni, ma anche in quello dei concerti e della direzione d’orchestre. Non me lo aspettavo. C’ho messo un po’ a entrare in questa ottica di numerosi impegni, ma non mi sono tirato indietro. Da vent’anni suono tutto l’anno, ma l’estate è il momento più intenso perché ci sono moltissime manifestazioni in Italia e all’estero. 
E cosa rappresentava l’estate da ragazzo?
Da ragazzo era il divertimento, le conquiste, le feste. Spesso seguivo degli amici che suonavano nelle orchestrine di tango di Buenos Aires. Credo che in quel periodo, inconsciamente, abbia cominciato a lavorare dentro di me il germe del tango che sto sviluppando proprio nell’attuale fase della mia vita. Il periodo successivo all’Oscar mi ha permesso di intraprendere una nuova strada musicale che attendeva da tempo: la studio delle radici del tango e la loro rielaborazione per cercarne una sintesi caratterizzata da una mia cifra personale.
Lo balla anche il tango?
Non ho mai ballato, come tutti i musicisti che non sanno ballare perché sono ancorati allo strumento. Io ho iniziato a studiare il pianoforte a 5 anni per decisione di mia mamma che, provenendo da una famiglia di musicisti, sognava che diventassi un virtuoso. Fino a 16 sono stato indirizzato a diventare un concertista ma pian piano mi accorgevo che mi mancava la determinazione e la meticolosità del virtuoso che vive con i paraocchi, come un cavallo. Io sono sempre stato curioso e aperto ad altre musiche, dal jazz al folk dell’America Latina. E poi di pianisti capaci di eseguire perfettamente Bach, Beethoven, Chopin ce ne erano e ce sono decine di migliaia. La concorrenza è spietata. Non ho dunque ubbidito ai desideri di mia mamma. Per molto tempo sono stato rimproverato e mi sono rimproverato ma poi ho seguito la mia strada.  
Tra le opere che ha recentemente scritto c’è Estava la madre, dedicata ai desaparesidos argentini e alle madri di Plaza de Mayo, andata in scena a Piazza Plebiscito a Napoli qualche mese fa…
Sì, l’ambientazione era stupenda, ma il mio grande sogno oggi è portare in scena un’altra opera di cui ho scritto già il libretto insieme a Josè Gojena e Carlos Sessana dedicata alla vita del grande cantante di tango Carlos Gardel. Se ci fosse una commissione da parte di un teatro, con sei mesi di concentrazione sarebbe pronta e coinvolgerei orchestra, attori, coro e ballerini. Mi immagino un’opera dal sapore ottocentesco.
La sua è senza dubbio una carriera prolifica e camaleontica. Per essere sempre efficiente, si esercita tutti i giorni?
Sì, ma non seguo regole. Anzi, sono disordinato.  
Qual è allora il segreto di una bella vita come la sua?
Nella vita ci vuole fortuna. Un destino fortunato.

Il Mattino - 13 luglio 2016

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