lunedì 8 gennaio 2018

Matilde Serao e le cronache da Cosmopoli

Il suo nome è indissolubilmente legato a Napoli, ma Matilde Serao amava anche allontanarsene. Il vero viaggiatore sa che viaggiare vuol dire andare e tornare e Matilde Serao, da viaggiatrice appassionata, ha vissuto ogni momentanea separazione da Napoli con estremo piacere e “atto di libertà”. 
Per la scrittrice e giornalista nata a Patrasso da un avvocato napoletano e una nobile greca ma sempre vissuta nel capoluogo partenopeo, viaggiare è stato il secondo “piacere dell’anima” dopo “il lavoro dell’arte”, tant’è che nel 1908 pubblica Lettere di una viaggiatrice, oggi ristampato da Elliot, in cui racconta in forma epistolare le sue “visioni” di città, montagne, strade, volti, costumi, vizi e virtù dell’epoca ancora scintillante e frivola in cui però scorge già alcuni semi della crisi che porterà alla prima guerra mondiale. 
Donna Matilde, “madre fondatrice” del Mattino insieme al marito Edoardo Scarfoglio, viaggia sola da Roma a Venezia, da Firenze a Verona, da Ventimiglia a Nizza, da Montecarlo a Parigi, dal Tirolo alla valle di Gressoney, dal Cervino ad Aosta, accompagnata dall’“illusione sublime della libertà”. “Non cerchi, l’amico lettore, in queste lettere di una viaggiatrice né l’itinerario preciso, né l’ordine cronologico”, avverte l’autrice nella prefazione del libro che sceglie di aprire smentendo il celebre verso del poeta francese Edmond Haraucourt, suo contemporaneo, “Partire è un po’ morire”, incipit della poesia Canzone dell’addio. Con convinzione Serao dice ai suoi lettori: “sì, è vero, partire significa morire un poco, ma che noi moriamo, ogni giorno, un poco di più, sempre più, anche stando fermi, coi piedi sempre sul medesimo mattone e gli occhi fissi sulla stessa linea di muro…”. E domanda loro: “perché privarci di quell’acuto e penetrante piacere dello spirito, del corpo, dell’anima che è il viaggio, perché privarci di questo diletto così mescolato con sapienza di tristezza, perché privarci di questa ebbrezza, così mescolata di fatica e in cui le facoltà più opposte sono attratte, affascinate ed esaltate?”.


Quando esce Lettere di una viaggiatrice, Matilde Serao è già una scrittrice affermata. Tra il 1884 e il 1891 ha pubblicato due dei suoi romanzi più amati, Il ventre di Napoli e Il paese di cuccagna, ed è nota per le doti di giornalista geniale ed estrosa. Trascorre le giornate scrivendo, tanto da guadagnarsi la definizione di “costante e fiera” lavoratrice da parte di Gabriele D’Annunzio. Non si risparmia: scrive note di costume, recensioni, commenti, polemiche letterarie, racconti e fiabe, fino alle narrazioni di viaggio che oggi, a distanza di 90 anni, possiamo rileggere e imbatterci nella Roma di inizio 900, una “città morta” durante le estati “senza re, senza corte, senza ministri, senza parlamento, senza ambasciatori, senza società”; vivere le boulevard, i ristoranti, i sarti di rue de la Paix di Parigi e “il segreto della città: il lavoro”; ritrovare la “bellezza immutabile” di Firenze, la tomba di Giulietta a Verona, gli uomini con i pantaloni corti al ginocchio di Igls in Austria, Nizza che sorride all’interpretazione dell’Adrienne Lecouvrear di Eleonora Duse; seguire l’autrice per tre ore di treno da Torino a Pont Saint-Martin più quattro di carrozza e tre di muletto per arrivare a Gressoney e scoprire il potere benefico e guaritore di Venezia in cui Serao arriva “in preda a un esaurimento profondo”. 
Nelle sue Lettere di una viaggiatrice, da acuta osservatrice della realtà, la “napoletana di Patrasso” si mette alla ricerca dell’anima dell’uomo sparsa dovunque, senza perdere se stessa e quel piacere dell’ignoto che la spinge lontana da Napoli a visitare luoghi sconosciuti e a svelare città-mondo. “Prego il tipografo e il correttore a non lasciar passare, per errore di stampa, che io sia andata a Costantinopoli: e supplico i miei lettori a leggere Cosmopoli e non Costantinopoli – spiega a metà del libro -. Cosmopoli è un romanzo, uno dei più belli di Paolo Bourget: Cosmopoli era una grande rivista, stampata in tre lingue, dalla copertina rossa: ma io non voglio parlare di ciò. Cosmopoli è un paese... cioè, sono cento paesi diversi”. La scrittrice si trova alla stazione di Genova, diretta verso la Costa Azzurra, quando, sopraffatta dallo stupore, scrive: “colà che mi trovai presa fra cittadini di tutte le nazioni e cittadine di tutti i paesi, fra i linguaggi di ogni Stato e i dialetti di tutte le regioni straniere, fra una folla di visi nuovissimi, esotici…/ diventavo Cosmopoli anche io, cioè una particella di quel mosaico, la infinitesima particella italiana, travolta in quella moltitudine babelica”. 

Il Mattino - 02/01/2018


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