lunedì 19 marzo 2018

Hala Mohammad: le parole di una farfalla contro la dittatura

Quando la poetessa Hala Mohammad è stata costretta a lasciare la Siria cinque anni fa, si sentiva come una farfalla, tacita, ammutolita, priva di una lingua per esprimersi tanto era lo choc subito. Si è rifugiata a Parigi, facilitata dalla nazionalità francese che aveva preso anni prima per motivi di studio, ma la sua casa, le sue abitudini, il suo lavoro, la sua vita e la sua stessa cittadinanza francese sono rimaste in Siria, nella sua casa di Damasco che oggi è stata distrutta. “Ci siamo scambiate di posto, io e la mia nazionalità francese - dice la poetessa – Ha mandato me in Francia da sola per proteggermi e lei è rimasta a casa con tutto il resto”. 
Oggi Hala vive a Parigi con parte della famiglia tra cui il figlio trentenne. Scrive, progetta documentari e organizza eventi culturali con poeti siriani per ricordare al mondo che la Siria non è solo terrorismo, conflitto e devastazione. “La Siria è anche fiori e farfalle, autori che scrivono per il teatro e artisti che da 40 anni resistono al dittatore con i mezzi della civiltà”. Incontro Hala a Roma in occasione dell’evento Ritratti di poesia e la nostra conversazione comincia con un suo sfogo. Di solito Hala scoppia in lacrime quando si commuove per episodi belli, ma questa volta a farla piangere sono le notizie dei nuovi bombardamenti sui civili nella sua terra. 
“Le brutte notizie normalmente mi fanno chiudere in me stessa – spiega -, ma questa volta piango perché mentre stavo provando a dare un messaggio di speranza con la poesia, apro la borsa, accendo il cellulare e mi piombano addosso di nuovo la morte e l’immagine della Siria raccontata dai media internazionali. La Siria è anche altro”. 
Proprio quest’altra Siria -, umana e vitale ma ferita -, troviamo nelle sue sette raccolte poetiche tra cui l’ultima, La farfalla ha detto, pubblicata in arabo dalla casa editrice al-Mutawassit, che a marzo uscirà in Francia per l’editore Bruno Ducey. 



Hala, in Siria è stata perseguitata dal regime anche per i suoi documentari sulla letteratura in carcere. Perché ha aspettato la fine del 2012 per partire?
Non volevo andarmene, anche se dal 2010 spesso sono stata costretta a lasciare il paese per curarmi il seno tra il Libano e la Francia. Ho aspettato finché ho potuto, ma avevo paura e la paura è contro l’esistenza dell’uomo.
Si è sentita fragile come una farfalla?
Sì, e poi, una volta andata via, mi sono sentita in esilio come una farfalla, silenziosa, alla ricerca di una voce diversa da quella della dittatura che parla urlando e con luoghi comuni. Io ho cercato di parlare a bassa voce senza usare i cliché. E’ stato importante trovare questa lingua per non tradire le vittime e i detenuti politici siriani. Il silenzio delle farfalle contiene anche quello delle vittime. Nelle poesie cerco di esprimere la speranza che pure è fragile come una farfalla. La speranza, però, non è un argomento accessorio. E’ un bisogno. E finché c’è poesia c’è speranza.
Un’altra immagine che emerge dalla raccolta è il filo del bucato. Perché? 
Perché il filo del bucato è resistenza contro la guerra. E’ la ricostruzione delle abitudini anche in una tenda. E’ una celebrazione della vita per il profugo siriano. Ed è una bandiera, la bandiera persa dalla Siria. I panni che sventolano come bandiere tra una tenda e un’altra sono anche una finestra aperta sul futuro. 
Qual è il ruolo delle donne nella difesa del futuro?
E’ vero che la società è dominata dagli uomini però è la donna che in molti casi ha scelto di avere la voce bassa, ma parlare a bassa voce può essere anche un segno di forza. Quando la donna è madre, non è solo madre dei suoi figli, ma è umm, la madre che protegge la vita e difende la giustizia. E’ come una sentinella che controlla se c’è la protezione della vita e la difesa della giustizia.
Cosa pensa del movimento #metoo che sta aiutando molte donne a tirare fuori la voce?
Sono solidale con il movimento #metoo partito da Hollywood, ma avrei preferito assistere alla nascita di un movimento femminista capace di chiedere qualcosa come l’istituzione di leggi che diano più diritti e più uguaglianza tra uomo e donna, a partire dal trattamento salariale. Trovo che questo movimento sia privo di profondità, non propone soluzioni e penso inoltre che non riesca a coinvolgere le donne ordinarie. Speriamo che contagi anche le donne comuni e non resti circoscritto nel mondo delle star del cinema. Esiste il rischio che faccia l’effetto contrario e scoraggi le donne ordinarie facendole sentire deboli perché vittime della crisi economica ed esistenziale in atto. Ma mi auguro che questo movimento riesca a dare il via a una rivoluzione che passi attraverso la liberazione della parola.
Mi sembra scettica a riguardo.
In effetti quando il movimento #metoo è esploso mi sono un po’ stranita e ho pensato che nessuno ha sentito il bisogno di dire #metoo anche contro la guerra in Siria, una terra violentata con vite violentate e case distrutte come se fosse tornato il colonialismo. Sono stata invece favorevolmente colpita dal documentario Il grido soffocato di Manon Loiseau uscito in Francia che racconta delle donne siriane violentate nelle carceri di Assad.  
Una delle femministe che ha partecipato al movimento del Sessantotto in Italia, la turca Semin Sayit, qualche giorno fa mi ha detto: “il vero femminismo è quello che viene dal Medio Oriente”. Cosa ne pensa?
Per me il vero femminismo è il non-femminismo perché la difesa dei diritti della donna senza la vigilanza sullo sviluppo culturale e la difesa dei diritti in generale, anche degli uomini, non serve a nulla. 
Cosa la indigna di più dell’enorme crisi siriana?
Che fino a oggi c’è un rappresentante del sistema dittatoriale di Assad, Bassar Jaafari, che siede al tavolo delle Nazioni Unite. Un uomo che rappresenta un sistema che violenta le donne in carcere, dovrebbe essere cacciato. Ricordo a tutti che la rivoluzione siriana all’inizio era pacifista e culturale e si aspettava un sostegno internazionale mai ricevuto. Non solo l’Occidente non è intervenuto ma oggi giustifica la sua crisi esistenziale ed economica dando la colpa all’Altro, ossia ai profughi. Ogni problema ora viene addossato a chi viene da fuori. Così si crea solo paura. E la paura è contro l’esistenza dell’uomo. 

Left - 9/3/2018

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